DOVE AVETE NASCOSTO LA FELICITÀ?

DOVE AVETE NASCOSTO LA FELICITÀ?

L’ho cercata dappertutto

 

“Tutti gli esseri umani vogliono essere felici; peraltro, per poter raggiungere una tale condizione, bisogna cominciare col capire che cosa si intende per felicità.”
Jean-Jacques Rousseau

 

 

Parlare di felicità e non cadere nel banale è un’impresa eroica.

Giusto per non perdersi in disquisizioni di poco conto, vado subito diretta al punto: stai lavorando per raggiungere i tuoi traguardi interiori?

Perché saranno quelli a farti sentire realizzato a un certo punto della tua vita.

Pensa per un attimo.

Viviamo, lavoriamo, ci sposiamo, facciamo famiglia, studiamo, viaggiamo, investiamo in nuovi progetti, facciamo corsi, iniziamo nuove relazioni, ecc: tutto questo con un solo obiettivo come comune denominatore: essere felici.

Forse non ti sei mai soffermato a riflettere, ma ogni gesto che tu compi durante il giorno ha questo scopo sottaciuto, dal semplice momento in cui gusti un caffè nel tuo bar preferito fino alla definizione più minuziosa di un obiettivo lavorativo.

La ricerca della felicità è uno dei temi più cari all’essere umano. Fin dall’antichità, essa ha ispirato canzoni, libri, dipinti, trattati e ricette di ogni epoca.

Ma dopo tutti questi anni di ricerca, la felicità sembra essere ancora un lontano miraggio.

Sembra di vivere all’interno di una grande caccia al tesoro cosmica. Gli indizi ci sono, seminati qua e là, ma della felicità (quella vera intendo) solo qualche labile ombra.

Soprattutto di questi tempi.

Allora, mi chiedo, stiamo forse guardando dalla parte sbagliata? Stiamo interpretando male gli indizi?

Nel ventunesimo secolo, l’essere umano barcolla nel buio con espressione intelligente.

Tutto da rifare. O meglio, tutto da riscoprire.

Presso gli antichi Greci (culla beata della nostra civiltà) era cosa comune conoscere e indagare sul funzionamento dell’essere umano.

Corpo, psiche e spirito venivano analizzati e studiati con un approccio scientifico.

La filosofia stessa era scienza.

Ecco, penso che oggi dobbiamo recuperare quel modo di esaminare “l’universo uomo” nella sua globalità (quando uso il termine uomo, intendo anche la donna: lo dico per tranquillizzare i femministi e le femministe, che di questi tempi sono un po’ agitati).

Troppo progresso esteriore ci ha fatto dimenticare il progresso interiore.

Partiamo dalle basi.

Che sapore ha la felicità?

Quand’è che ti senti felice? Davvero felice intendo, non momentaneamente soddisfatto per un avvenimento piacevole che ha illuminato la tua giornata.

Investi tutto il tuo tempo a raggiungere traguardi esteriori, e ti dimentichi della cosa più importante: essere felice.

 

Che non ti manchi mai la gioia, anzi che ti nasca in casa; e nascerà, purché essa sia dentro a te stesso. Le altre forme di contentezza non riempiono il cuore, sono esteriori e vane. È lo spirito che dev’essere allegro ed ergersi pieno di fiducia al di sopra di ogni evento. Credimi, la vera gioia è austera”, diceva Seneca con parole cariche di fuoco.

 

La realizzazione personale sta nel fare di se stessi un capolavoro. Ecco, qui è nascosta (sotto strati di cazzate) la felicità.

Un capolavoro è un’opera unica e irripetibile di ineguagliabile bellezza. Con un po’ di lavoro interiore, puoi realizzare la tua opera maestra.

 

Il Manifesto dell’individuo felice

  • Conosci te stesso e i tuoi meccanismi interiori
  • Trova la pace con te stesso: accetta ogni più piccola sfaccettatura,  soprattutto quello che proprio non ti piace di te (anche se lo nascondi agli altri, so che ce l’hai)
  • Stipula un trattato di tregua a tempo indeterminato con i tuoi mostri interiori. Non combattere i tuoi draghi, ma rendili tuoi fedeli servitori
  • Impara a gestire le tue emozioni (gestire non vuol dire reprimere): qui sono nascoste importati lezioni da apprendere
  • Tendi sempre al perfezionamento di te stesso
  • Impara a distillare oro dal piombo (ossia, trasforma il dolore in saggezza)
  • Usa il buonsenso, ma fatti ispirare anche dalla lucida follia
  • Ricordati di perdere l’equilibrio, ogni tanto. Serve a tenerti in allenamento
  • Abbi il coraggio di perderti per ritrovarti
  • Vivi immerso nel presente: ti aiuterà a non dissipare energie in inutili elucubrazioni mentali
  • Fai qualcosa per qualcun altro
  • Respira a pieni polmoni e, ogni tanto, alza lo sguardo al cielo.

 

Ecco, questo è il Manifesto dell’individuo felice.

Se ti impegni a mettere in pratica quello che ti ho detto, la felicità comincerà a essere per te molto di più di un miraggio sbiadito.

Dobbiamo ripartire dalle fondamenta per edificare la nostra felicità.

E se non partiamo da noi stessi, non vedo alcuna realizzazione possibile.

 

Semper ab Intra Age

 

P.S. Per essere felici basta inibire la ricaptazione della serotonina. Le azioni che ti ho consigliato di fare rappresentano un buon inizio (in altre parole, sono degli anti depressivi naturali).

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
Con lo scalpello della consapevolezza, lavoro sugli strati di condizionamenti e di maschere per far affiorare la bellezza nascosta delle persone.
Formo e affianco i Manager illuminati nella creazione dei talenti umani all’interno del loro team di lavoro.

chiara.pierobon@ilmetodor.it
www.ilmetodor.it

PENSIERO POSITIVO? DIPENDE

PENSIERO POSITIVO? DIPENDE

Scendo un attimo all’inferno e torno

 

“Per essere felici bisogna allenarsi tutti i giorni.”
Alberto Casiraghy

 

Il pensiero positivo (così come te lo raccontano) non funziona.

Mi dispiace mandare in frantumi un’illusione così rassicurante, ma una brutta verità è sempre meglio di una bella bugia.

Come per tutte le cose esiste sempre una versione sofisticata e “difficile” da mettere in pratica (difficile nel senso che richiede impegno protratto nel tempo) e ne esiste un’altra contraffatta, proprio come i portafogli di Louis Vuitton che trovi nelle bancarelle del lungomare.

Orientare i pensieri della propria mente, in modo da intervenire sulla realtà circostante, non è cosa da poco.

Non si tratta infatti di partorire sporadici pensieri carichi di entusiasmo, ma di avere il controllo di quello che succede dentro la tua testa.

E, permettimi, sono due cose molto diverse.

Arriviamo al nocciolo della questione: tu, hai la padronanza del tuo dialogo interno? Come parli a te stesso durante il giorno? Con quali pensieri vai a letto? (tutta roba che imprimi sul tuo subconscio, per la cronaca).

Pretendi di avere un buon dialogo con i tuoi collaboratori, di saper comunicare in maniera eccellente con i tuoi clienti (hai fatto anche svariati corsi al riguardo), ma non hai mai curato la qualità del tuo dialogo interno!

Non puoi fare all’esterno ciò che non sei già in grado di fare all’interno, è il mantra degli Alchimisti, ricordalo.

Se vuoi che la tua vita sia un inno alla gioia (o se sei uno che si accontenta, basta una sonata in do maggiore di Mozart), non puoi prescindere dal prenderti cura dei tuoi pensieri, ovvero del contenuto della tua mente.

Non puoi avere una vita positiva e una mente negativa.

È talmente ovvia questa cosa che hanno inventato il filone del pensiero positivo. Silicone per il cervello.

Perché il pensiero positivo non funziona? O, in ogni caso, come deve essere approcciata questa filosofia affinché funzioni?

Seguimi nel ragionamento, la cosa ti sarà chiara.

 

  • La macchina biologica umana è naturalmente programmata a pensare in negativo: prevedere gli possibili scenari nefasti mette in condizione di essere pronti al peggio (è un programma di sopravvivenza della specie).
  • Pensare in positivo (ossia invertire la rotta e concentrarsi sulle possibili soluzioni) è frutto di un lavoro di consapevolezza e di controllo interiore, o comunque di un allenamento mentale mirato.
  • Il pensare positivo effimero e privo della necessaria discesa agli inferi personali è la scorciatoia. È come alzare il tappeto e buttare sotto la polvere. Funziona nell’immediato, nel senso che dà un momentaneo sollievo, ma a lungo andare non produce alcun risultato (né interiore, né esteriore).

L’uomo post moderno ama le scorciatoie e i traguardi facili. Egli è pigro.

Da qui nascono la sua alienazione, la sua insoddisfazione profonda e il malessere che lo contraddistingue.

Dai, non raccontiamocela. Non siamo la Famiglia del Mulino Bianco, in cui tutti si svegliano felici di iniziare un’altra giornata di lavoro.

Dobbiamo conquistarcela la nostra felicità, dobbiamo guadagnarcelo il nostro pensiero positivo. E per questo bisogna scendere all’inferno, non esistono scorciatoie.

Nessun albero può crescere fino al paradiso se le sue radici non scendono fino all’inferno”, diceva a ragione Jung.

Conoscere se stessi, le proprie paure, le sfide personali, il proprio tallone d’Achille, le ferite da sanare e i corti circuiti da sistemare è la via maestra per costruire un sano dialogo interiore.

Un dialogo interiore costruito su queste basi diventa potentissimo.

Saper governare la propria mente significa saper governare la propria vita.

E se vuoi avere influenza sulla vita degli altri (i tuoi collaboratori) devi partire dall’unico porto che conosci, ossia te stesso.

Buon lavoro.

 

Semper ab Intra Age

P.S. Un buon allenamento mentale presuppone costanza, dedizione, perseveranza e disciplina. Quando sei sicuro di possedere queste qualità, chiamami.

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
Con lo scalpello della consapevolezza, lavoro sugli strati di condizionamenti e di maschere per far affiorare la bellezza nascosta delle persone.
Formo e affianco i Manager illuminati nella creazione dei talenti umani all’interno del loro team di lavoro.

chiara.pierobon@ilmetodor.it
www.ilmetodor.it

SCUSA, HAI CAPITO QUELLO CHE NON HO DETTO?

SCUSA, HAI CAPITO QUELLO CHE NON HO DETTO?

 

“La comunicazione parte non dalla bocca che parla ma dall’orecchio che ascolta.”
(Anonimo)

 

Saper comunicare è prerogativa di pochi.

Le persone parlano, esprimono opinioni, danno consigli, spiegano, raccontano storie, condividono pensieri ma raramente comunicano.

Nei bei tempi in cui frequentavo l’aula, spesso iniziavo il corso di comunicazione consapevole con una domanda: “Cosa significa per voi comunicare?”

Le risposte erano le più diverse, molte delle quali originali e intelligenti.

Ma tutti mancavano il punto.

Cosa significa comunicare?

C’è una caratteristica che, più di altre, impedisce all’essere umano (sia al lavoro che a casa) di comunicare in maniera profonda: l’egocentrismo.

Ci muoviamo ogni giorno accompagnati dalla fedele vocina nella nostra mente che ci ricorda incessantemente un sacco di cose e che, in linea di massima, ha un solo obiettivo: la sopravvivenza della nostra macchina biologica (fisica o emotiva non cambia molto). Quello che riguarda gli altri, raramente ci tange davvero.

Comunicare presuppone che tu esca dal tuo piccolo mondo e sappia provare interesse per il mondo di qualcun altro. E questo non avviene in maniera automatica, ma rappresenta una meta, frutto di un lungo lavoro di introspezione.

Onestamente, tu comunichi con i tuoi uomini, o semplicemente gli parli addosso?

Sono due cose molto diverse.

Comunicare significa ASCOLTARE.

Un tale diceva (Zenone di Cizio, per la cronaca) che abbiamo due orecchie e una bocca per un motivo. Ma il nostro egocentrismo spesso ce lo fa dimenticare.

Una buona comunicazione parte sempre da un eccellente ascolto.

Quanto sei in grado di ascoltare quello che i tuoi uomini NON dicono? Perché è questo che fa davvero la differenza, non raccontiamocela.

Possiamo sederci, aprire le orecchie e sentire le parole che uno dice. Con un minimo di allenamento ci riusciamo tutti.

Ma cogliere quello che non viene detto richiede una grande empatia.

Se tu vuoi fare il Manager, questa qualità devi averla nel tuo kit personale insieme alla penna per far firmare i tuoi clienti sulla linea tratteggiata.

Quando hai scelto questa professione forse non pensavi di dover possedere abilità umanistiche, ma sta di fatto che i tempi ora lo richiedono e lo richiederanno sempre di più.

Se non vogliamo morire soffocati da una tecnologia invadente, dobbiamo ritrovare una strada “più umana” verso la realizzazione personale.

Empatia, capacità di ascolto (che non è semplicemente sentire con le orecchie, ma qualcosa di più), consapevolezza, magnetismo e centratura: ecco quello che ti serve per fare il Manager nel 2021. Ah, dimenticavo: anche conoscere i meccanismi dell’animo umano (non sono le solite tecniche di vendita o di persuasione).

Io sogno un’azienda più sostenibile, e molti tuoi collaboratoti lo fanno insieme a me.

La vita è troppo breve per lavorare in maniera alienante. La frustrazione che molte persone si portano addosso là fuori la dice lunga.

Sono anni di cambiamento.

O riusciamo a cambiare con loro, modificando il paradigma che ci ha portato a un effimero successo fatto di vuoto e alienazione, o soccombiamo una volte per tutte.

Siamo ancora in tempo per diventare ESSERI UMANI, la versione migliore.

Ecco, vorrei che tu ricordassi questa frase oggi quando incontrerai un tuo collaboratore.

 

Semper ab Intra Age

P.S. Possiamo passare ore a parlare di comunicazione, di leadership e di tutte quelle cose che rendono figo il mondo manageriale dipinto dagli altri. Ma se non inizi col metterti in discussione, perdi solo tempo prezioso.

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
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chiara.pierobon@ilmetodor.it
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IL TALENTO? PARLIAMONE

IL TALENTO? PARLIAMONE

Come ottenere risultati immortali dai tuoi uomini

 

“Una cosa è avere talento. È un’altra cosa scoprire come usarlo.”
Roger Miller

 

Si fa presto a dire talento.

Quante volte ne hai sentito parlare, come se fosse facile passare dalle parole ai fatti.

Il difficile invece è capire in concreto cos’è un talento e come possa essere messo in pratica nel lavoro con i tuoi uomini.

Nei miei interventi formativi mi capita spesso di vedere manager che non hanno la più pallida idea di quali siano i rispettivi talenti dei loro collaboratori.

Forse siamo abituati all’idea che i talenti siano i risultati, ma non è così.

Anzi, spesso i risultati non arrivano perché il talento non viene messo a frutto. Te ne sei mai accorto?

Sul significato del talento

Che cos’è una talento?

Un talento è qualcosa che riesce in maniera eccellente con uno sforzo minimo.

E fino a qui siamo tutti d’accordo.

Allora perché spesso ci ostiniamo a chiede agli altri ciò che per loro risulta difficile?

Nell’approccio al lavoro (e alla vita in genere) dobbiamo andare più in profondità.

Il talento corrisponde alla missione di ciascuno, ciò per cui il vivere ogni giorno, il lavorare e il farsi il mazzo acquistano un significato.

Non penso che siamo su questo pianeta semplicemente per respirare, mangiare, sopravvivere, riprodursi, fatturare e inquinare.

Sarebbe una mancanza di logica della vita stessa, la quale tende in maniera inesorabile alla crescita e allo sviluppo.

Noi tutti siamo qui per evolvere e per rendere questo pianeta un luogo migliore, giorno dopo giorno. Nella corsa al progresso tecnologico e al fatturato, ce lo siamo forse dimenticati?

Nella missione individuale c’è la risposta ai nostri quesiti esistenziali.

Sta’ sereno: la missione non deve essere per forza salvare il mondo!

Una missione può essere anche guidare degli uomini e farlo in maniera eccellente.

La missione è il talento portato in pratica.

Non è forse una missione servire un caffè dietro un bancone di un bar, sfoggiando un sorriso a 36 denti nonostante le inesorabili difficoltà personali?

Scoprire il talento

Anche i tuoi collaboratori, come esseri umani, possiedono una missione che corrisponde a un talento ben preciso.

Ti sei mai adoperato a capire quale sia?

Non puoi chiedere a un excel di scrivere una poesia, come non puoi chiedere a un tuo collaboratore molto razionale di essere un asso nella comunicazione empatica (di questo ho già parlato a suo tempo).

Allo stesso modo, non puoi chiedere a un tuo collaboratore di essere super organizzato se il suo modo di essere è quello di un istrionico governato dalle emozioni.

Per ottenere risultati rilevanti dai tuoi uomini devi sapere cosa essi sono in grado di fare e cosa no. E soprattutto devi capire cosa essi sono in grado di fare IN MANIERA ECCELLENTE.

Qui giace l’oro.

Non è facile comprendere in profondità qualcun altro.

Per questo ho ideato un metodo di lavoro ben preciso, il Metodo R. Ma questo è un altro discorso.

Sta di fatto che fare il manager è tutt’altro che semplice al giorno d’oggi.

La sfida per te non è riconoscere e onorare solo il tuo talento (impresa titanica questa già di suo), ma riuscire a farlo anche con i tuoi collaboratori: quali sono i loro talenti e qual è la loro missione?

Questo è quello che hai scelto di fare, guidare degli esseri umani alla relazione di se stessi.

Allora, fallo bene.

 

Semper ab Intra Age

P.S. È sempre difficile portare la teoria nella pratica. Siamo tutti bravi a scrivere, a predicare e a impartire lezioni. Quanti di noi sanno insegnare con l’esempio (cioè con il fare)? E quanti di noi con l’essere? Ti lascio con queste due domande. Nella risposta giace il peso della tua Leadership.

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
Con lo scalpello della consapevolezza, lavoro sugli strati di condizionamenti e di maschere per far affiorare la bellezza nascosta delle persone.
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chiara.pierobon@ilmetodor.it
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SE FARE IL MANAGER FOSSE FACILE LO FAREBBERO TUTTI

SE FARE IL MANAGER FOSSE FACILE LO FAREBBERO TUTTI

 

“Questo è il grande principio dell’Alchimia: si può fare all’esterno solo ciò che si è già in grado di fare all’interno”
S. Brizzi

 

Con grande probabilità qualcuno dei collaboratori che gestisci non ti porta i risultati che speri.

 Di chi è il problema? Tuo o suo?

 È un buon quesito da cui partire per comprendere qual è il vero compito di un Manager.

 Non so come tu sia arrivato a ricoprire questo ruolo.

 Sta di fatto che, volente o nolente, ti trovi nel groppone più oneri che onori.

Il tuo compito è quello di guidare delle persone a raggiungere degli obiettivi stabiliti. La cosa sembra abbastanza semplice nella teoria. Nella pratica però le cose sono assai diverse.

Nel corso della tua formazione, ti hanno insegnato a porre attenzione ai numeri.

Io ti dico che devi porre attenzione agli uomini (i numeri saranno la logica conseguenza).

Se ti concentri sugli uomini, essi potranno stupirti.

La questione è: come gestire efficacemente un team fatto di persone molto diverse tra loro?

Indubbiamente devi possedere delle qualità fuori dalla norma.

Il primo punto da cui devi partire è la consapevolezza chiara che tutto ciò che ti aspetti dai tuoi uomini devi prima averlo ottenuto dentro di te.

Vediamo in dettaglio cosa significa questa affermazione.

  • PRETENDERE DENTRO PER OTTENERE FUORI

Quando chiedi qualcosa ai tuoi collaboratori, devi prima averlo chiesto a te stesso.

Sia esso un risultato, un atteggiamento, un modus operandi, più puntualità, maggior disciplina, e così via.

Se manchi di questo passaggio fondamentale, la tua comunicazione non sarà credibile.

  • LA COMUNICAZIONE

Non puoi chiedere ai tuoi uomini di comunicare in maniera efficace, se prima non hai imparato a comunicare in maniera chiara e onesta con te stesso.

Questo significa che dovrai curare in modo attento la tua comunicazione, sia quella con te stesso che quella con i tuoi collaboratori.

Comunicare con te stesso presuppone che tu conosca i tuoi meccanismi interiori e che tu sappia governare la vocina che senti dentro la testa (il tuo dialogo interno).

Ho creato il Metodo R proprio per supportarti in questo difficile passaggio.

  • COMPRENDERE IN PROFONDITÀ I TUOI UOMINI

Per aver in pugno la tua squadra, devi conoscere esattamente le persone che la compongono.

Non puoi ottenere da loro il meglio se non conosci di ognuno le leve su cui agire.

Ma anche qui: prima di tutto devi conoscere perfettamente te stesso.

  • GESTIONE INTERNA E GESTIONE ESTERNA

Prima di gestire in modo efficace delle persone, devi essere in grado di gestire te stesso.

Cosa significa nella pratica?

Pensieri, emozioni, sogni, visioni, reazioni ad avvenimenti esterni: ecco, tutto questo devi imparare a gestirlo dentro di te prima di pensare di gestire qualcun altro.

Il grande principio dell’Alchimia non ammette deroghe: si può fare all’esterno solo ciò che si è già in grado di fare all’interno.

Potrà sembrarti una visione scomoda, in fondo è più facile guardare fuori, criticare e lamentarsi.

Ma io ti sto dando una chiave di lettura diversa, perché penso che la tua intelligenza lo meriti.

Senza volerlo, hai scelto una professione che ti obbliga al miglioramento interiore e questo, credimi, è una figata.

A un certo punto della tua vita ti accorgerai che rincorrere cose e situazioni all’esterno non ti porterà alcun vero appagamento.

Ma i traguardi interiori, quelli sì, saranno il paradiso della tua vecchiaia.

Infine, scoprirai con grande sorpresa che quando punterai tutto sul miglioramento dell’interno, otterrai all’esterno tutto quello che avevi sempre sognato.

Perché, funziona così, quello che costruisci all’interno te lo ritrovi all’esterno.

 

Semper ab Intra Age

P.S. Quello che ti sto dicendo ha a che fare con il concetto di Responsabilità. Riuscire a costruire la realtà esterna partendo dall’interno è prerogativa dei grandi uomini. Il Metodo R nasce proprio per questo: forgiare grandi uomini.

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
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chiara.pierobon@ilmetodor.it
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UMANESIMO 3.0: LA RINASCITA

UMANESIMO 3.0: LA RINASCITA

 

“Non solo Umanismo, ovvero essere usati o semplicemente aiutati dalla scienza, ma anche Umanesimo, cioè capire il senso, avere il fine.”
Roberto Vecchioni

 

L’altra settimana parlavo con Daniele, dovevamo definire i dettagli di un progetto che stiamo curando insieme.

Daniele, mente brillante e genio del digitale (come amo chiamarlo io), mi raccontava delle sue ultime esperienze formative, rivolte all’evoluzione delle tecnologie nell’industria.

Io ascoltavo a bocca aperta, come una bambina ipnotizzata da una favola di fantascienza.

Ad un certo punto Daniele se n’è uscito con una frase che ha provocato una scossa elettrica, la quale ha attraversato la mia colonna vertebrale dall’alto al basso. Ormai sono abituata a questi segnali del mio corpo; si producono quando viene detta una grande verità.

Altro che industria 4.0, ai nostri giorni, con quello che sta accadendo,  dobbiamo iniziare a discutere di Umanesimo 3.0!”.

Da lì è iniziata una piacevole conversazione che ci ha trattenuto per un’altra ventina di minuti (gli impegni potevano attendere).

 Ogni giorno ci troviamo a fare i conti col fatto che la tecnologia è sempre più invadente nelle nostre vite.

 Ma la tecnologia rappresenta un mezzo, non un fine.

 Ce lo stiamo forse dimenticando?

Sono d’accordo, la vita on line offre dei grandi vantaggi in termini di tempo e di comodità. Ma il rischio di venirne risucchiati è grande.

Il “faccio tutto da casa con un comodo clic” rischia di produrre soggetti deboli, pigri e alienati. E i primi risultati sono evidenti sotto gli occhi di tutti.

Immagino che nel tuo lavoro la tecnologia sia fondamentale, soprattutto in tempi avversi come questi.

Ma la riflessione che ti invito a fare vuole andare in profondità e ti permette di porre l’attenzione su quello che, alla fin fine, è il cuore del tuo business: i rapporti umani.

Ha ragione Daniele: dobbiamo iniziare a considerare un Umanesimo 3.0.

Perché, alla fin fine, dietro allo schermo, tra i messaggi, i post di LinkedIn e le mail quotidiane c’è sempre una sola cosa: saper comunicare, cioè saper toccare il cuore di qualcuno, anche se per un certo tempo (spero limitato) siamo costretti alla distanza fisica.

I tuoi uomini, i tuoi clienti, la tua segretaria e i tuoi fan sui social sono esseri umani con una ricchezza interiore raramente compresa o esplorata (anche da loro stessi).

Non possiamo dimenticare questo aspetto: una macchina è una macchina, un uomo è un uomo.

Sappiamo accendere e far funzionare un computer e non sappiamo nulla del mondo interiore delle persone.

Non scarichiamo addosso alla tecnologia la responsabilità che compete a noi, rendendo ancora più vuota una vita che rischia di perdere di significato.

Ben vengano riunioni on line, scambi commerciali e comunicazioni veloci.

Tuttavia non devi dimenticare il potere e l’effetto della classica pacca sulla spalla o dello sguardo che che lanci a un tuo collaboratore: quanta comunicazione non verbale ci stiamo perdendo per strada?

Non sono certo un’anacronistica presenza su questo pianeta. Amo la tecnologia e tutte le possibilità (fino a qualche decennio fa impensabili) che essa ci offre.

Ma credo ancora nell’uomo sapiente che la sappia usare e che non ne sia usato o, peggio, abusato.

Perché se la velocità rimane il metro di parametro più importante con cui definisci la qualità del tuo lavoro, allora stai sbagliando qualcosa.

Sogno un mondo di uomini saggi che, supportati dalla più potente tecnologia, compiano grandi cose per un bene comune.

Ma l’incubo di un mondo alienante e alienato governato da una tecnologia sterile fine a se stessa è quanto mai in agguato.

Siamo in un momento di grande cambiamento epocale.

A tutti noi la responsabilità di costruire un mondo migliore, non solo più tecnologico ed innovativo.

E un mondo migliore non può che essere fatto da esseri umani migliori.

La prossima volta che ti troverai a usare la tecnologia per interagire con i tuoi collaboratori, ricordati di queste parole.

Il successo dell’Umanesimo 3.0 dipenderà anche da te e dalla tua capacita di sviluppare consapevolezza.

 

Semper ab Intra Age

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
Con lo scalpello della consapevolezza, lavoro sugli strati di condizionamenti e di maschere per far affiorare la bellezza nascosta delle persone.
Formo e affianco i Manager illuminati nella creazione dei talenti umani all’interno del loro team di lavoro.

chiara.pierobon@ilmetodor.it
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