“Se non sai correggerti, come puoi pretendere di correggere gli altri?”
Proverbio cinese
Ogni giorno pretendiamo dagli altri: puntualità, efficienza, rispetto, approvazione, supporto, risultati, onestà, lealtà, sincerità, coraggio, intelligenza, apertura mentale, precisione, comprensione, amore, perdono, affetto, aiuto, cortesia e, a volte, soldi.
Tutte cose buone e giuste.
Ma possiamo pretendere dagli altri a una condizione.
Pretendere o ispirare?
Tempo fa parlavo di pretesa con un mio cliente.
Mi raccontava che uno dei compiti più difficili per un Manager è quello di saper ispirare i suoi collaboratori, in modo da pretendere da loro senza passare per tiranno.
Pretendere risultati da un collaboratore è un comportamento normale, direi scontato. Lo fanno gran parte dei Manager e dei Professionisti.
Pretendere da se stessi, invece, è un’altra cosa, è da Professionisti illuminati.
Usare l’autorità per pretendere qualcosa non è la stessa cosa che pretendere dagli altri quello che hai già preteso da te stesso. Il ragionamento non fa una piega.
Sembra una differenza insignificante, ma per chi ci sta intorno non lo è affatto.
È giusto pretendere, ma c’è un modo corretto di farlo. Ecco quale:
- La pretesa deve essere insegnata con l’esempio: un leader pretende dagli altri ciò che egli continua a pretendere da se stesso. Questo è il primo punto.
- Deve essere comunicata in maniera chiara, ma mai con un tono impositivo. Ogni collaboratore ha un suo codice comunicativo ben preciso (che cambia a seconda della personalità che lo caratterizza) e per ottenere risultati questo codice deve essere rispettato.
- Deve essere percepita come realizzabile: mai chiedere a qualcuno qualcosa che non è in grado di fare, sarebbe per lui demotivante. Anche in questo caso bisogna sapere cosa la persona è in grado di fare e cosa no.
- Deve essere temporizzata. Se pretendiamo un’azione (o un nuovo atteggiamento) da qualcuno, dobbiamo aiutarlo a trasformare la pretesa in un obiettivo a medio o a lungo termine. Le persone sono continuamente bombardate da mille informazioni e si perdono tra le pieghe della vita. È nostro compito guidarle verso un miglioramento (interiore ed esteriore).
- Infine, deve essere valorizzata. Non sottovalutiamo lo sforzo che chiediamo a qualcuno. Al contrario, evidenziamo e riconosciamo la difficoltà che gli stiamo chiedendo di affrontare e, soprattutto, gratifichiamolo quando ha raggiunto il suo obiettivo.
Messa così, la PRETESA è un percorso di miglioramento per tutti.
La leadership non può essere esercitata attraverso un diploma appeso al muro o peggio, attraverso un’autorità dispotica, ma dev’essere trasmessa agli altri attraverso l’esempio.
Alla fin fine, quello che fa la differenza è la nostra capacità di ispirare gli altri.
Non possiamo fingere autorevolezza o carisma, dobbiamo possedere queste qualità con tutto il nostro essere. Fatti, non parole.
Prima pretendiamo da noi stessi. Dopo, possiamo fare altrettanto con gli altri.
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Chiara Pierobon
Amo pensarmi come una scultrice mentale.
Con lo scalpello della consapevolezza, lavoro sugli strati di condizionamenti e di maschere per far affiorare la bellezza nascosta delle persone.
Mi occupo di FormAzione Umanistica e progetto Percorsi di Consapevolezza per Professionisti illuminati.
Grazie!
Questa semplice e chiara sintesi del processo, mi ha aiutato a mettere nel giusto ordine i tasselli che intuivo ci fossero e a dare il nome corretto delle varie fasi.
Non sono più nell’ambito lavorativo ma credo che tutto questo si possa applicare anche nella vita quotidiana, con le persone che ci stanno vicino e con le quali si coopera, condivide, convive costantemente (marito, figli, genitori e anche amici…).
Ci sono sempre situazioni in cui a volte si deve essere il leader e prendere in mano la situazione, altre invece in cui si ha bisogno di seguire un leader…
A pensarci bene è quello che “dovremmo” fare anche come genitori…
Grazie Ivana, riflessione profonda!