QUELLA VOLTA CHE FUI SPIETATA

QUELLA VOLTA CHE FUI SPIETATA

 

Dobbiamo essere spietati con le idee, ma gentili con le persone 

Robert  Sirico

 

Ricordo ancora la scena.

Se ne stava lì a fissarmi, con gli occhi che imploravano un accenno di compassione da parte mia. E io niente. Inamovibile come una statua di marmo.

È stato qualche anno fa. Ero in sessione privata con un mio caro cliente, il quale stava lavorando sulla sua difficoltà a dire di no alla gente.

Il suo eccessivo buonismo gli impediva di essere felice e di concentrarsi a realizzare se stesso, dato che si metteva sempre al secondo posto. E questo lo faceva soffrire.

“Ma come facevo a dirgli di no?”, mi disse ad un certo punto con occhi languidi mentre si accorgeva della mia spietatezza.

Lavorare con le persone e sulle persone è bellissimo, ma difficile. Devi essere amorevole e spietato allo stesso tempo.

Quando ti trovi di fronte a un blocco, a un “difetto” che il tuo cliente vuole correggere, devi imparare a usare tutta la spietatezza di cui sei capace.

Saperlo fare è un traguardo a cui sono arrivata con gli anni. Fin da giovani ci insegnano a essere gentili, falsamente amorevoli e abbigliati di convenevoli. Lo scopo è quello di risultare una persona gradevole e benvoluta da tutti (o quasi tutti).

Ecco, quando vuoi aiutare una persona a smontare un’abitudine malsana, devi dimenticarti di tutto questo.

Non sei di fronte a lui/lei per farti amare. Sei di fronte a lui per aiutarlo. E, a volte, essere spietati è l’unico modo per fargli del bene.

La spietatezza (ossia l’essere senza pietà) non è mai rivolta alla persona, ma piuttosto al tratto caratteristico sul quale state lavorando insieme.

Qualsiasi emozione, piacevole o spiacevole che sia, può assumere carattere distruttivo o carattere costruttivo. E questo cambia tutto.

“La mia spietatezza in questa situazione fa del bene o fa del male? La mia bontà in questo contesto giova o fa danni?

Ecco, queste sono le domande che devi porti nell’uso saggio delle emozioni.

Il buonismo dispensato a destra e a manca è solo un modo attraverso il quale noi proiettiamo nel mondo il nostro bisogno di essere amati. Cioè la nostra scarsa autonomia affettiva.

Essere spietati con amore è da persone mature, è da persone risolte.

Vista sotto quest’ottica, come ti sembra ora la questione? Sei in grado di essere spietato con amore?

 

Un’emozione è emozione, punto.

 

Le emozioni sono energia in movimento e possono essere buone o cattive a seconda dell’uso cosciente che ne facciamo. Non cadiamo nella trappola della classificazione superficiale di ciò che è buono e ciò che è deplorevole.

Un’emozione si infetta e diventa cancerogena solo quando entra a contatto con una mente giudicante. 

Io posso essere spietata e nello stesso tempo provare un amore infinito per il cliente che si trova lì davanti a me e che ha bisogno di essere aiutato a scardinare un comportamento.

L’altro giorno mi ha telefonato. Chi? Vi chiederete. Lui, il mio cliente.

Abbiamo ricordato quel giorno e abbiamo riso di cuore. Poi mi ha ringraziato e mi ha detto che nessuno era mai stato così spietato con lui. Gli ho chiesto se veniva a pranzo dalle mie parti. Mi ha detto di no, aveva troppe cose da fare per i suoi nuovi progetti. Era una delle prime volte che lo sentivo dire di no.

 

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P.S. Quello che ti ho raccontato non è valido solo con i clienti. Pensa a tuo figlio per esempio. Quante volte un’amorevole spietatezza educa di più rispetto a un accomodante “va bene”? 

Siamo tutti invitati a un uso saggio delle emozioni.

Vuoi scaricare la Guida in PDF?

Trovi validi suggerimenti per affrontare al meglio questo imminente cambiamento epocale.

Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
Con lo scalpello della consapevolezza, lavoro sugli strati di condizionamenti e di maschere per far affiorare la bellezza nascosta delle persone.
Mi occupo di FormAzione e progetto percorsi di Allenamento Mentale per Professionisti illuminati.

chiara.pierobon@ilmetodor.it
www.ilmetodor.it

LO STRESS È UNO STATO DI IGNORANZA

LO STRESS È UNO STATO DI IGNORANZA

 

“Lo stress è uno stato di ignoranza. Esso crede che ogni cosa sia un’emergenza. Ma nulla è così importante.”
Natalie Goldberg

 

Agosto. Sei lettere che significano molto per alcuni Italiani. Non per me.

Ho sempre odiato Agosto con la sua afa, con il lento suicidio della voglia di fare, con le giornate che cominciano ad accorciarsi e con le code in autostrada.

Eppure per molti Agosto è il mese in cui pareggiano i conti con il resto dell’anno. Dopo tanto affanno, finalmente viaggi e ozio sfrenato. Il tutto senza sensi di colpa (e non è cosa da poco).

Lo capisco. La biologia vince e finalmente si riprende il suo spazio.

Durante il resto dell’anno sei solito: andare di corsa tutti i giorni in ogni cosa che fai, tenere ritmi sostenuti, lavorare con passione, badare ai figli, stare sui social (dispendio enorme di energie), informarti su quello che succede nei vari canali di disinformazione, darti obiettivi, rispettare le regole che ti sei auto imposto, pranzare con la suocera la domenica, rispondere ai messaggi dei clienti la sera tardi, fare attività fisica (qui sgarri spesso), aiutare le vecchiette ad attraversare la strada, fare riunioni interminabili on line, ciucciarti il traffico nell’ora di punta (quasi ogni giorno). E questo per 11 mesi di fila.

Ogni giorno dentro al mulinex. E poi mi parlano di stress e di gestione dello stress.

Praticamente la dinamica è questa: quando lavori lo fai davvero (senza rispettare i ritmi fisiologici che la biologia impone). Poi quando riposi, molli i remi in barca e ti lasci andare alla deriva del dolce far niente.

Questo ogni anno.

La solita storia del “tutto o niente”, che ti impedisce di trovare un buon equilibrio in ogni ambito della vita (ho scritto un articolo interessante sulla legge del ritmo).

L’equilibrio del pendolo

Hai presente il movimento del pendolo? Va da una parte all’altra, in un movimento ipnotico, passando sempre per il centro. Più è grande l’oscillazione da una parte, più lo sarà dall’altra.

Hai capito ora?

La questione non è recuperare le forze ad Agosto per l’energia spesa durante tutto l’anno, ma piuttosto trovare un saggio equilibrio tra attività e passività ogni giorno.

Facile a dirsi, difficile a farsi. Ogni giorno veniamo trainati da avvenimenti ed emozioni, senza la minima capacità di essere presenti a noi stessi in ogni cosa che facciamo.

In molti parlano di gestione dello stress. Ma nessuno ti dice (al di là delle ricette preconfezionate) come prevenirlo. E qui sta il punto.

Se vuoi gestire la tua vita, devi saper gestire le tue emozioni, stress compreso.

La metafora della carrozza

C’è una bellissima metafora che spiega il funzionamento dell’essere umano.

Un filosofo armeno, Gurdjieff, parla dell’uomo inconsapevole condizionato dalle forze esterne paragonandolo a una carrozza trainata da cavalli.

La carrozza rappresenta il corpo fisico, i cavalli sono le emozioni e il cocchiere è la mente. Mentre il passeggero (cioè colui che è trasportato) è la coscienza.

Cosa succede secondo te quando il passeggero non è vigile e la mente decide la strada e la direzione da prendere? E cosa succede quando la mente è confusa, si perde e non sapendo dove andare si lascia trasportare dalle emozioni?

Ecco, è quello che succede quando vivi da stressato.

Corri come un cavallo imbizzarrito cercando di far fronte ai mille impegni. Mancano sia il cocchiere che il passeggero.

Metti il pilota automatico delle false emergenze e ti consumi lentamente correndo appresso alla vita.

La provocazione che ti lancio questa volta è quella di iniziare d’ora in poi a lavorare (e a vivere) in maniera diversa.

Lo so che i ritmi sono incalzanti, e che ti vogliono sempre sulla cresta dell’onda.

Ma devi imparare a guidarla tu la tavola da surf e a fermarla quando vuoi. Anche solo cinque minuti, anche solo con il pensiero (questo è il vero segreto).

Togli importanza.

Calma la tua mente e le onde si calmeranno.

Vivi in Presenza e il tempo si dilaterà.

Ecco, questa per me è la vera gestione dello stress.

 

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P.S. Qualcuno l’altro giorno mi ha chiesto dove trovo tutte le mie energie se, apparentemente, non stacco mai. Gli ho risposto che io stacco ogni giorno.

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Chiara Pierobon

Amo pensarmi come una scultrice mentale.
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PARLARE È UMANO, ASCOLTARE È DIVINO

PARLARE È UMANO, ASCOLTARE È DIVINO

 

“La musica ci insegna la cosa più importante che esita: ascoltare”.
Ezio Bosso

 

Ma mi ascolti?

Così se n’è uscita la ragazza seduta al tavolo accanto al mio al bar l’altro giorno. Stava parlando con il suo compagno, il quale aveva l’aria di non essere molto interessato all’argomento del giorno.

Questo insignificante avvenimento mi ha fatto riflettere. E quando rifletto, devo scrivere. Come da copione.

Non c’è niente di più fastidioso di essere convinti che un dialogo sia effettivamente in atto, quando in realtà stiamo parlano da soli (succede, ahimè anche a parti invertite).

Eppure questa è la normalità.

Ci riempiamo la bocca di comunicazione efficace, e poi quando uno ci parla pensiamo ai fatti nostri.

L’essere umano vive di paradossi, e questo è solo uno dei tanti (un altro, per esempio, è andare in palestra tre volte a settimana e poi prendere regolarmente le scale mobili).

Comunicare è un bisogno.

Qualsiasi attività che noi facciamo ogni giorno si basa su questa necessità: dal lavoro alla vita sociale il comune denominatore è sempre lo scambio di informazioni (verbale o non verbale che sia).

Ma comunicare in maniera efficace è un’altra cosa.

Quando chiedo ai partecipanti durante i miei corsi cosa sia la Comunicazione, quasi tutti rispondono cose come “usare le parole adeguate”, “utilizzare il giusto tono”, “curare il para verbale e il non verbale”, ecc.

Tutte cose giustissime, ma nessuno coglie il punto: comunicare significa per prima cosa ASCOLTARE!

 

Abbiamo tutti una bocca e due orecchie

 

Se quella volta ci hanno dato una bocca sola e due orecchie un motivo ci sarà.

Il fatto è che non riusciamo ad ascoltare veramente gli altri perché siamo pieni di noi stessi.

Non che questo sia sbagliato. La natura ci impone programmi biologici di sopravvivenza (fisica o emotiva cambia poco). Ragion per cui siamo naturalmente predisposti a pensare agli affari nostri. Sempre.

E non iniziamo a parlare di cosa sia giusto o meno. La natura ha le sue leggi e in fin dei conti se ne frega del buonismo.

Quello che invece ti deve interessare (e che può fare la differenza) è la consapevolezza con la quale ti muovi nel mondo. Consapevolezza di come funzionano le cose e di come funzionano gli esseri umani, compreso tu.

Ascoltare, in fin dei conti, non è umano, ma divino.

È un atto cosciente che va oltre la biologia di cui sei fatto (se non capisci bene questo passaggio, scrivimi in privato che ne parliamo).

Ascoltare significa uscire dalla propria bolla di realtà per contemplare cose presenti in un’altra bolla di realtà. E questo passaggio si fa attraverso un’atto consapevole.

Invece noi, immersi nella nuvola dei nostri pensieri e dei nostri obiettivi da raggiungere, ci muoviamo automaticamente senza prestare attenzione a quello che veramente ci succede attorno.

A cosa stava pensando il tipo al bar invece di ascoltare la sua compagna?

 

Presenza ed empatia

 

Al di là dei corsi bellissimi che puoi fare sulla comunicazione efficace (metterli in pratica poi è un’altra cosa), c’è un solo modo per comunicare davvero con l’altro: essere presenti a se stessi nel qui e ora per entrare in empatia profonda con chi hai di fronte.

Queste due condizioni (presenza ed empatia) da sole bastano e avanzano.

Cosa significa essere presenti? Semplice, significa arrestare il flusso di pensieri che normalmente abita la tua testa. In altre parole, zittire la vocina interiore e metterti in una condizione di ascolto attivo.

Ecco a cosa serve l’allenamento mentale.

Ti insegna a conoscere e a gestire te stesso. E scusa, questo non è poco.

E la comunicazione?

Beh, sarà la logica conseguenza di una persona consapevole.

 

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P.S. Ne ho fatti tanti di corsi di comunicazione. Ma ho cominciato a comunicare bene quando ho iniziato a essere consapevole.

 

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L’IRONIA E LA SINDROME DI PETER PAN

L’IRONIA E LA SINDROME DI PETER PAN

 

“Solo un cambiamento dell’atteggiamento individuale potrà portare con sé un rinnovamento dello spirito delle nazioni. Tutto comincia con l’individuo.”
Carl Gustav Jung

 

Gli Italiani, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli.

Niente sembra ammazzarli.

Qualsiasi disagio (piccolo o grande che sia) si trasforma in una buona occasione per mettere in scena commedie di stile goliardico.

Penso per esempio a quando l’Italiano tipo si affacciava dal balcone per cantare in maniera più o meno creativa l’inno nazionale. 

Amor patrio o amor proprio?

Perfino l’imbarazzante situazione politica continua a ispirare in lui quel sarcasmo tipico di chi sa che sta per morire, ma vuole farlo in piedi e prendendosi gioco della morte.

Chapeau! 

Per quanto il suo atteggiamento possa far sorridere gli animi, c’è però un altro lato della medaglia che spesso non viene considerato.

Ti sei mai chiesto quali sono le conseguenze di questa modalità spiccatamente ironica di affrontare problemi e difficoltà?

Perché, a un certo punto, bisogna smettere di ridere e prendere in mano la situazione sul serio.

 

L’ironia e la sindrome di Peter Pan

 

Bisogna ammettere che la creatività di cui è dotato, lo salva dal baratro della serietà eccessiva. E questo è davvero un pregio. Tuttavia questo atteggiamento ha un effetto collaterale: lo sprofonda in una buca di impotenza.

Perché?

L’atteggiamento “ironizzo ad ogni costo” nasconde sotto sotto un tratto tipico di una personalità che ha paura di affrontare ciò che viene ritenuto “inaffrontabile”.

Quando un problema appare davvero grande e insormontabile, l’ironia aiuta a smorzarne i toni e a ridimensionarlo.

Ciò può essere un bene quanto un male.

Se da un lato permette alla mente di non collassare sotto il peso della negatività, dall’altro può impedire un’analisi lucida e profonda del problema in questione.

E il tipo di approccio risulta superficiale.

Questo non consente una vera crescita dell’individuo (e di conseguenza dello spirito della nazione), il quale resta un adolescente incapace di prendere parte alla tragedia e, come un attore calato nella parte, produrre  così un’azione efficace che risolva e chiuda l’atto finale.

Non fraintendermi, non amo particolarmente le tragedie (anche se sono cariche di phatos).

Ma saperle vivere, con una recita cosciente, è quello che permette di affrontare la vita, la quale è sempre un misto tra tragedia e commedia.

 

La crescita individuale come crescita sociale

 

Esiste un una folla intera di questo tipo di personalità, soprattutto in Italia.

Il suo tratto caratteristico è una grande sensibilità alla relazione umana che, unita all’ironia, fa di questa tipologia di persona una vera e propria benedizione nei momenti difficili.

Ma c’è ampio spazio di miglioramento.

Cosa dobbiamo imparare, come individui e come popolo, da tutto quello che sta succedendo? Mi faccio spesso questa domanda.

In cuor mio, mi auguro che il disagio, la crisi economica e il tumulto politico che stiamo affrontando trovino nell’Italiano medio un giullare pronto a crescere e a diventare finalmente un sovrano in patria. Spesso nutro dei seri dubbi al riguardo, ma mi piace pensare che ciò sia un giorno possibile.

Una cosa però è certa: ci rialzeremo anche questa volta, presto o tardi.

Al di là di tarantella, pizza, spaghetti e commedie a volontà, arde lo spirito di chi ha conquistato mezzo mondo.

Non dimentichiamolo.

 

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P.S. Esiste un tipo di personalità, nel Codice Umano, che corrisponde a questa descrizione. È l’Ipersensibile Empatico (il numero 4). Egli è talmente sensibile che in certi casi rimuove il problema attraverso una spiccata ironia, per non venire travolto dalle forti emozioni. La sua crescita, come individuo consapevole, consiste nell’imparare ad affrontare i problemi, per quanto grandi essi siano. La sua ironia sarà allora il frutto di un sano atteggiamento ottimista, non di una rimozione strategica.

 

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BISOGNA RIFARSI IL SENNO

BISOGNA RIFARSI IL SENNO

 

“Io sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno.”
Alessandro Bergonzoni

 

 

Guardati intorno.

Macché chirurgia estetica, qui ci vuole una dose di chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno.

Queste righe sono un elogio alle difficoltà, allo scoraggiamento, al dubbio, alla sofferenza psichica e alla fragilità umana.

A tutte quelle emozioni che non vengono mai portare in aula durante una formazione, o esaltate dai post nei social.

Quando tutti inneggiano a comportamenti da super eroe di silicone, ci dev’essere qualche voce fuori dal coro che parteggia per l’altra squadra, giusto per portare l’equilibrio.

Mi offro come volontario.

 

Sei una persona di successo?

 

Ti insegnano che per essere una persona di successo devi apparire come un individuo vincente.

Un individuo vincente non si fa mai prendere da sconforto, tristezza o paura, ma va avanti dritto senza dare il minimo segno di cedimento.

Niente di più sbagliato.

Nella mia esperienza professionale mi è capitato spesso di vedere un tipo di formazione del tutto innaturale alla logica delle emozioni umane.

Spesso viene insegnato alle persone a non ascoltare le proprie emozioni (soprattutto quelle più terribili e inconfessabili), e a costruirci sopra un tipo di atteggiamento da “superman versione postmoderna”.

Peccato che quel tipo di impalcatura precaria, sulla quale un povero individuo ha costruito l’immagine ideale di sé, crolli miseramente di fronte a un evento un po’ più burrascoso del normale.

Mi riferisco sai a quel tipo di formazione che fa parte del filone del sorriso stampato in faccia ad ogni costo.

Secondo questa visione tu devi essere sempre ottimista, focalizzato, centrato, forte e, anche quando succede uno stravolgimento globale (come quello che da più di un anno stiamo vivendo), devi essere in grado in poco tempo di ridefinire completamente i tuoi obiettivi, sia interiori che esteriori.

Nella teoria tutto ciò non fa una piega. Nella pratica, le cose sono un po’ diverse.

 

Un nuovo senno

 

Perché nessuno insegna alle persone ad analizzare il problema e a “stare” sulle emozioni negative che immancabilmente scaturiscono dai fatti, per poi trovare delle soluzioni interiori che siano il frutto di un precedente (e necessario) passaggio all’inferno?

Questo periodo molto particolare sta segnando la fine di un’era e l’inizio di un’altra.

Se l’epoca moderna ha portato con sé un enorme progresso nel campo della tecnologia e dell’informatica, ha però separato l’uomo dalle sue risorse spirituali innate e lo ha reso orfano di se stesso.

Ora gli approcci superficiali non sono più efficaci. Per fortuna.

Crolla il palco della sceneggiata e tu sei costretto a recuperare i pezzi per costruire una nuova identità personale, professionale e spirituale.

Il doping di entusiasmo non è più sufficiente. In momenti come questi è importante avere perseveranza di pensiero retto e di gestione emozionale.

 

Un pensiero centrato è sempre il risultato di un lavoro di raffinazione interiore, mai di una rimozione forzata.

 

A tutto questo pandemonio (il termine non è casuale) sopravviverà chi ha sviluppato o chi inizierà a sviluppare un approccio profondo allo studio di sé e delle sue dinamiche interne.

Perché, è evidente, il virus che si sta propagando in maniera incontrollata è in primis di origine mentale.

Solo l’abitudine ad una conoscenza interiore, unita all’esercizio costante della pratica quotidiana nel fronteggiare i problemi, ti permetterà di raccogliere le tue macerie e di costruirne una fortezza.

Questa è quello che io chiamo Leadership.

Il resto è solo una protesi mentale destinata a frantumarsi miseramente di fronte alla Verità.

 

Semper ab Intra Age

 

P.S. Sono mesi che affilo il bisturi. Tu sei pronto a rifarti il senno?

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